TUTTI MI CHIAMAVANO GIORGIO – giu 2002 – set 2005

Nel 2002 mossi i miei primi passi come dj estivo a Rimini, in giro tra spiagge, locali e automobili con subwoofer che facevano vibrare pure i pali della luce. 20 ore di musica dance e elettronica no stop. 1 ora o poco più di rimorchio. 3 ore di sonno. Per quasi 4 mesi. Un inferno, e che inferno…

Ricordo che c’era una ragazza che mi girava spesso intorno, si chiamava Raissa. Era sempre accompagnata da un ragazzo più giovane di lei, il cugino, del quale non ricordo il nome e dalla sua amica… Elisa. Io invece, arrivando da Roma, da solo, avevo preferito non essere accompagnato da nessuno, salvo qualche amico che, insieme a Mirko, scappando per il fine settimana dalla capitale, veniva da quelle parti a fare quattro salti, passare la giornata successiva in spiaggia e tornare nei meandri cittadini e cupi della nostra patria natale.

Raissa era una bellissima ragazza, tra lo schivo e il simpatico, mora, abbronzata, slanciata, appassionata di musica dance e commerciale e, per fare colpo su di lei, le mettevo spesso i pezzi che sapevo piacerle di più. Il suo cuginetto ballava come un matto qualsiasi cosa mettessi e sorrideva sempre. Sudava e sorrideva. E poi veniva cacciato dalle due ragazze quando si stava per fare troppo tardi.

Elisa invece mi era antipatica. Era bella anche lei, minuta, biondina e con un fisico invidiabile, ma sembrava essere sull’acido. Poi, cercava di mettersi sempre in mezzo, ogni volta che ci avvicinavamo per scambiare due chiacchiere, io e Raissa. Mi lanciava occhiatacce, era smorfiosa, sembrava proprio una figlia di papà.

Erano entrambe toscane ma i genitori avevano comprato due appartamentini in riviera per venire a godere del mare e della vita notturna. E loro erano ben contente di spassarsela, quelle estati lì, a ritmo di bassi sfondatimpani, rincasate al mattino e baci con la lingua con sconosciuti.

E io lì che picchiettavo come un pazzo su tastiere, consolle e pulsanti vari, come fossi un forsennato.

Da una parte adoravo fare quello che facevo, il dj (o presunto tale), dall’altro avrei voluto conoscere meglio quel fiore di ragazza che mi seguiva come un’ombra.

Tra un pezzo e l’altro azzardavo a infilare nella scaletta musicale gli adorati Daft Punk. Partivo con pezzi più lenti, nei primi momenti di accesso in pista, per poi provare qualcosa di un po’ più duro, come “Rollin’ & Scratchin’”, così da far sudare un po’ le camice ancora inamidate e far scaldare gli animi. Poi andavo a buttarmi sulla commerciale e la dance a mazzetta, raggiungendo l’apoteosi con “One more time” dove tutti, ma proprio tutti ballavano e cantavano, sudavano e si strusciavano, bevevano e si baciavano, ballavano e ballavano, fino a che distrutti, dopo vari altri pezzi tosti, si passava alle ultime tracce hardcore, finché non si concludeva abbassando man mano il ritmo.

Avevo trovato la scaletta perfetta. Tutti ballavano, sempre. Tutti bevevano. Tutti sudavano. C’era pure qualche matto che si buttava a mare vestito.

I proprietari dei locali erano contenti e mi pagavano decentemente e io me la spassavo; un giorno con una ragazza, una serata con un’altra, una dormivo in macchina, una a casa di tizia, un’altra in spiaggia con una qualche straniera…

E Raissa l’ho baciata solo una volta, in tre anni.

Sinceramente non ne capisco il motivo. Lei mi piaceva tanto, più delle altre. Saranno stati gli occhi da cerbiatta, quel fisico pazzesco, i jeans a vita bassa e il top sempre più corto… Oppure il fatto che, nonostante ogni tanto si fosse baciata con qualche ragazzo, sembrava una tipa seria, timida ma intelligente. Sembrava, perché sinceramente le parole che ci siamo scambiati sono state veramente sempre pochissime, un po’ per il chiasso e le casse che pompavano, un po’ perché quella stronza della sua amica si faceva trovare sempre nei momenti meno opportuni e me la portava via.

Dj Giògio era il nome d’arte che avevo scelto per me, ma tutti, non capendolo, mi chiamavano Giorgio.

E così tolsero anche l’appellativo dj davanti al nome, quasi come se volessero defraudarmi dal ruolo assegnatomi; nonostante li facessi ballare per bene, poi…

Mi ricordo quella volta del bacio con Raissa, avevo scelto di invertire alcune canzoni, cosa che al mio pubblico non piacque poi così tanto, però mi portò sicuramente fortuna.

Le sue labbra erano morbide, quanto mai ne avevo baciate in tutta la mia vita. Morbidissime, gonfie, grandi. E la sua lingua calda e delicata, sapeva di Big Babol. Anche la lingua era timida, ma questo mi piaceva. Per lo meno, il fatto che ci fossimo baciati da sobri, significava che le piacevo e che fosse “consenziente”. Non che le altre non lo fossero ma, sotto i fumi dell’alcool, potresti anche baciare un citofono e magari non accorgertene.

E poi non ci siamo baciati solo con la bocca. Ci guardavamo, i nasi si strusciavano e cambiavamo lato, per conoscere un po’ meglio qualcosa dell’altro, e poi ci spingevamo i corpi contro, così che potevo sentire le sue forme, il suo seno premermi addosso. E immaginavo quanto potesse essere bello, simmetrico, abbronzato, sostenuto anche da nudo…

Così decisi anche altre volte di mettere mani alla scaletta vincente ma non si presentò più l’occasione di baciare quella ragazza, anzi mano mano cominciai a vederla sempre meno alle serate finché sparì del tutto, insieme alla sua amica Elisa.

Quando la stagione successiva tornai in quelle zone, i locali per i quali dovevo suonare non erano gli stessi. La cosa non mi spaventava ma ogni tanto il pensiero andava verso Raissa e sapevo che, forse, cambiando giro, avrei potuto non incontrarla più così spesso.

Un giorno però riconobbi il cugino, accompagnato da una ragazzetta forse appena diciottenne (forse) e gli chiesi informazioni.

“Non lo sai? Lo scorso anno, dopo che ti sei baciato con Raissa, lei e Elisa hanno litigato di brutto. Non le disse subito del bacio ma lo scoprì da altra gente, ora non ricordo bene. Comunque non si parlano più.”

“Ah davvero? Ma che strano… E io che c’entro? Perché hanno litigato?”.

“Ma dai non fare lo scemo, lo sapevano tutti che Elisa aveva una cotta per te! Piacevi anche a mia cugina, certo, ma Elisa si era dichiarata subito, appena ti aveva conosciuto!”.

Rimasi interdetto da quelle parole. Io avevo sempre creduto di stare sulle palle a quella ragazza…

“Va bene dai, ci vediamo in qualche serata” mi disse mentre ero ancora assorto nei miei pensieri.

“Oh ma dove vai? E quindi ora Raissa dov’è?” chiesi alzando la voce, mentre si allontanava.

“A casa, a Prato! Andrà in vacanza con le amiche in qualche posto tipo Canarie o qualcosa del genere” urlò alzando il braccio, accennando a un saluto, prima di voltarsi per andarsene definitivamente. Ma prima che girasse l’angolo strillai ancora più forte: “E Elisa? Dove sta?”

Non lo vedevo più ma la voce mi raggiunse comunque, tanto aveva alzato il tono di voce: “E che ne so io, mica è amica mia!”. Così fu l’ultima volta che lo vidi, quell’estate.

Quella stagione andò male sotto ogni punto di vista. Le discoteche avevano già tutte le serate prese, in spiaggia i locali avevano cambiato gestione e i nuovi gestori erano un po’ rincoglioniti, o troppo giovani per avere lungimiranza. Fu così che tornai a Roma prima del previsto, con meno soldi di quando ero partito, con poche rimorchiate e tanto, troppo alcool scolato.

Finì così l’epica parabola del mitico rimorchiatore seriale Dj Giògio, detto Giorgio (anche se mi chiamo Giovanni), con il rimorso di non aver fatto di più. Con Raissa, con la musica, con le ragazze, con i Daft Punk.

Sì, perché nelle sventurate serate in cui provavo alternative alla classica scaletta da me stesso perfezionata, la cosa che facevo – e me ne accorsi solo tempo dopo – era diminuire i loro pezzi e aggiungere roba un po’ più smielata o più commerciale, cantata. Capii troppo tardi che avrei dovuto rendere intoccabili dei pezzi come Teachers, High Life, Phoenix, Short Circuit, Indo Silver club… E non scegliere Raissa a loro.

TUTTI MI CHIAMAVANO GIORGIO – giu 2002 – set 2005ultima modifica: 2022-02-28T11:42:39+01:00da pabproject
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