FACCIA A FACCIA – dic 2020

Corsi come un forsennato a darle un bacio, uno solo, prima di recarmi in stazione a recuperare Raissa. Era sbagliato? Non mi importava.
“Te vai a finì male”, mi ripeteva l’amico Fritz, ma non mi importava proprio. Ero stufo di stare a rincorrere, soffrire, arrancare, subire.
L’avevo fatto per una vita: a lavoro, prendendo l’autobus con la pioggia, ricevendo insulti e rimproveri dai capi, rientrando a casa sempre una o due ore dopo l’orario ufficiale, senza che mi fosse riconosciuto, se non un compenso economico, almeno dedizione e sforzo.
Mi era capitato con Raissa, inseguendola con lo sguardo, prima, e poi con la mente fino ad arrivare addirittura ad andare a cercarla lì a Prato.
In famiglia, nelle amicizie, con i vicini, nei rapporti con i conoscenti, ma soprattutto con Elisa.
Sì, con Elisa; anche se non sembrava, se andavamo d’accordo, se sembravamo equilibrati, visti da fuori, io subivo continuamente i suoi umori, le sue necessità, la sua “dipendenza” da me, così che alla fine ero io quello dipendente.
Ma, finalmente, questa volta mi sentivo libero. Libero di potermi prendere ciò che mi piaceva, quello che volevo e potermi comportare, per la prima volta nella vita, esattamente come mi sentivo di fare.
Volevo ancora Elisa e volevo tenermi stretta Raissa, che finalmente era tra le mie braccia. Potevo gestirlo, sentivo che avrei potuto farlo e che tutto sarebbe andato per il meglio.
Alla fine la biondina voleva lo stesso, ma era comunque impegnata, quindi potevamo organizzarci e soprattutto nessuno aveva pretese verso l’altro.
Con la mora il rapporto era appena nato, quindi avrei potuto abituarla al fatto che, ogni tanto, avrei avuto necessità nel prendermi un po’ di libertà, cosa che in passato, negli altri rapporti, non avevo mai fatto valere. Certo, questa volta non era per fini, per così dire, etici ma questo non mi importava più, volevo pensare solo a ciò che volevo.
E così feci…

“Ma che ci fai qui? Roberto, se ti vede, ti riconosce. Mi metti nei casini col mio compagno!”.
“Dai, esci un attimo – feci cenno col capo – ho bisogno di parlarti”.

Girai l’angolo, mettendomi in modo che non mi potessero vedere dall’entrata principale, e aspettai che uscisse dalla porta scorrevole. Non appena la vidi varcare la soglia, la tirai verso di me e la baciai forte. La spinsi contro il muro, senza neanche lasciarle il tempo di prendere il fiato, e le occupai la bocca con le mie labbra. Ansimò e si fece leccare la lingua, così, spingendola contro il muro facendole sentire che avevo voglia di lei, allungai la mano e le toccai il seno da sotto la camicia. Fece un gemito di piacere, le lasciai libera la bocca e mi impegnai sul collo, che adoravo, poi mi staccai, la guardai negli occhi e le diedi un bacio a stampo, in segno di saluto.
“Devo andare a prendere Raissa”, sussurrai, mentre lei continuava a guardarmi fissa, con gli occhi leggermente incrociati, data la vicinanza.

“Non dici niente?”, le chiesi.
“Vorrei non averti mai perso”, sospirò.
“Vorrei aver avuto il tempo di sposarti”, risposi d’istinto e mi allontanai velocemente, raggiungendo l’auto parcheggiata proprio lì dietro.

Mentre mi allontanavo, guidando, guardai dallo specchietto retrovisore, e lei era ancora lì, a rimirare il posteriore della mia auto allontanarsi, con aria cupa, ma sognante allo stesso tempo.
Mi chiesi se fosse ancora innamorata, per quale motivo stava ancora con quel ceffo e soprattutto perché continuasse a cercarmi.
Mi sorrisero gli occhi, lo notai guardando il riflesso nello specchietto. Cosa stavo diventando? O meglio, cosa sarei sempre stato se non fossi stato succube nei rapporti? Non riuscivo a capire se questo nuovo me mi piacesse, però in fondo, ma non così in fondo in effetti, mi sentivo gasato: stavo a pallettoni come dicono dalle mie parti.
Accelerai parecchio, ancor più che all’andata, diretto alla stazione, da Raissa e la mente fantasticava su entrambe le ragazze.

Mi venne in mente una frase che mi disse anni prima una ragazzetta, quando facevo il dj: “Tu soffri di delirio di onnipotenza!”. E questo solo perché, durante la serata, avevo passato “Face to face” in fase di chiusura. Sorrisi, al ricordo, e forse un po’ lo ammisi a me stesso, così piazzai sullo stereo il cd dell’album “Discovery” e cercai proprio quel pezzo: un sogno!

Arrivato alla stazione aspettai Raissa proprio ai binari e, quando fece per uscire, rimirai le sue lunghe gambe che provavano a far scendere dalle scale un paio di frigoriferi con le ruote, tanto sembravano grandi quei bagagli che portava. Mi avvicinai velocemente e l’aiutai. Sorrisi, la guardai negli occhi, lei mi sorrise e, senza parlare ci avviammo verso l’uscita. Non facevamo che guardarci e sorridere, sembravamo due idioti innamorati. “Ma, vuoi vedere che… – pensai – …che questo è l’amore?” Come poteva essere? In fondo avevo passato gli ultimi giorni scopando come un riccio con Elisa. Sarebbe potuto essere possibile? Può un uomo amare una persona ma lasciarsi andare con un’altra così come mi era successo, senza limiti e vincoli, senza sensi di colpa, senza rimorsi?

Mi sentivo, però, stranamente calmo e, con tutta la tranquillità del mondo, una volta usciti dalla stazione, feci il primo passo, rompendo il ghiaccio: le presi un braccio, delicatamente e mi avvicinai per baciarla, sentendo le sue morbide labbra sulle mie e, con un sorriso che si allargava piano piano le chiesi, rendendo la cosa ufficiale, se avesse voluto vivere con me.
“Ahahah – rise – sei scemo! E secondo te questi bagagli a cosa servono? Mica devo allestire un mercatino dell’usato!”

“Prendi sul serio quello che sto per chiederti – risposi – vuoi vivere tanti anni con me?”.
La sua espressione si fece più seria. Capì dove stavo cercando di portare il discorso. Mi chiese di inginocchiarmi e di porgerle la chiave di casa sul palmo della mano, cosa alla quale acconsentii di fare e alla domanda di prima rispose con un “ti amo” che mai mi sarei aspettato. Mi alzai di colpo e, senza rispondere l’abbracciai forte, mentre la gente tutt’intorno osservava la scena e batteva le mani. Ero felice. Ah, se ero felice! E innamorato. Sì, quello allora era proprio amore. Non l’avevo mai provato prima nonostante non fossi proprio di primo pelo e ne rimasi sorpreso dall’efficacia nel farmi stare bene; se prima di arrivare in stazione mi sentivo gasato, ora ero un supereroe con il mantello pronto a solcare i cieli.

Tornammo a casa che non potevamo smettere di guardarci, sorridere, farci il solletico e scherzi stupidi.
Sembravamo due ragazzini alle prime armi che, appena spalancata la porta di casa e trascinate dentro le valigie dei suoi indumenti, si trasformarono in adulti vogliosi di manifestare tutto quel sentimento appena maturato, così d’un tratto, faccia a faccia.

Per la prima volta in vita mia mi sentivo innamorato. Lei era la sola ad avermi fatto sentire così. Da sempre.
O almeno fino alla prossima crisi d’astinenza.

FACCIA A FACCIA – dic 2020ultima modifica: 2022-06-14T14:27:28+02:00da pabproject
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