SUDORE – giu 2019

Suonò il telefono di casa più volte, ma non avevo molta voglia di alzarmi dal divano, così lasciai squillare quell’aggeggio infernale e misi su le cuffie, scegliendo come brano “Lose yourself to dance”, che mi fece anche ballare con l’immaginazione.

Passavano i minuti e di Elisa non avevo notizie; pensai che sarebbe dovuta rientrare da almeno mezz’ora, così mi alzai dalla comoda posizione per andare a recuperare il telefono, dove trovai diverse chiamate e messaggi.
Mi scocciava quando ricevevo così tante notifiche, ho sempre avuto la sensazione di non essere totalmente libero, quando venivo cercato a quel modo. Così sbloccai lo schermo e vidi che c’erano molteplici chiamate dall’ufficio di Elisa, l’ultima pochi minuti prima. Avevo anche i suoi messaggi, nei quali mi chiedeva dove fossi, perché non stavo rispondendo e cose simili. Trovai addirittura un messaggio in segreteria che però non sentii, tanto ero sicuro fosse lei, così la richiamai.

“Scusa amore, ero in doccia”.

“E tutto quel tempo? È quasi un’ora che ti cerco!”.
“Ti stavo pensando… e non essendo lì con me mi ci è voluto un po’ più di tempo”, le dissi scherzando, ma neanche troppo.
Non rispose. Di solito aveva sempre la battuta pronta, soprattutto quando si parlava di queste cose, sia in senso malizioso che sminuendo la questione come “Allora potrò usufruirne solo tra almeno un paio di giorni” oppure “perché sei riuscito a trovartelo?”. Cose così, che prontamente davano il via a conversazioni non proprio ripetibili ma divertenti.
Ma quella volta non rispose.

“Senti, ho un gran da fare qui in ufficio, è successo un casino, poi ti spiego”, mi disse abbassando leggermente il tono della voce. “Torno appena posso, tu organizzati per mangiare e fai quello che vuoi, non aspettarmi”.

Attaccai con una sensazione di incredulità e passività che non avrei saputo spiegare, ma era la prima volta che venivo messo in secondo piano. E tra pochi mesi ci saremmo sposati. Cosa sarebbe successo dopo? Si sarebbe trasformata in una di quelle mogli che non ti si filano più? Che pensano solo alle chat delle mamme di scuola? Che parlano di quanto sono stanche, dei figli, dei compiti, della collega stronza e che vanno a letto col pigiama di flanella e i calzini sopra?

E i perizomi? E le cenette a due con il vino buono e il sesso subito dopo? E i selfie di lei che faceva intravedere un po’ di pelle mentre ero a lavoro? O il farsi trovare che si tocca sul divano? Cosa sarebbe successo quando la monotonia, la stanchezza e la routine avrebbero preso il sopravvento?

Leggermente impanicato mi diressi verso la doccia, con la cosa che “tanto ormai gliel’ho detto, quindi lo faccio”, così mi spogliai e mi diressi in bagno. Avevo già in mente cosa pensare: il giorno del suo compleanno, di qualche mese prima.

Sì, il giorno del suo compleanno, anzi la notte, fu un evento da ricordare.

Stavamo guardando un film ma lei aveva mal di testa, così si addormentò sul divano, dopo aver preso delle pasticche per lenire il dolore.

La portai in braccio fino al letto intorno la mezzanotte e, appoggiandola giù, la baciai e le feci gli auguri di buon compleanno, che scattava proprio in quel momento. Mi sorrise, un sorriso dolce – non il suo solito ghigno malizioso o ironico – senza aprire gli occhi e la coprii con le coperte, poi mi sdraiai anche io e mi addormentai quasi subito. Credo che avevo già iniziato a sognare quando mi svegliai con la sua lingua sul mio collo e le sue mani che mi toccavano ovunque. Iniziai a respirare profondamente, per poi, preso dall’eccitazione, iniziare ad ansimare. Mi baciò e mi infilò la lingua nella bocca, poi io feci altrettanto e cominciai a toccarle quel sedere paradisiaco sul quale avrei voluto lasciare le mani per sempre. Mentre mi toccava con una mano, si strusciava sulla mia gamba e sono sicuro con l’altra mano avesse già iniziato a procurarsi piacere. Poi, con foga e senza mai staccare le lingue l’un l’altra, ci spogliammo. Si sedette sopra di me, a candela, ma dandomi le spalle e nel mentre continuava a toccarsi il seno e le parti intime. Io vedevo la sua bellissima schiena incurvarsi a ogni flessione e la sua testa ciondolare in avanti, poi indietro, a volte di lato, e sentivo tutto il suo piacere rivolgersi su di me, con un ritmo lento ma profondo e incredibilmente eccitante; il tutto accentuato dal fatto che avevamo un armadio con le ante completamente a specchio, proprio ai piedi del letto che rifletteva, nella penombra, la sua immagine intrisa di bellezza e godimento.

Sarà un ricordo che custodirò sempre, nella mia mente, quel suo compleanno.

Finii la doccia e tornai in salone, per controllare il telefono. Nessuna novità, se non qualche messaggio idiota nella chat dei colleghi e una nota vocale di Mirko che, testualmente, mi diceva: “Ciccio sei in un casino. Vieni a prendermi da mia madre, di corsa”.

Pensai che non avrei dovuto preoccuparmi, che era il solito Mirko e che probabilmente si riferiva a qualche sistema o schedina che non avevo giocato ma che avrei preso se lo avessi fatto: nessuna novità rispetto il solito. Così con calma mi vestii e mi recai a casa dei genitori del mio amico, lasciando un messaggio ad Elisa avvertendola che non mi avrebbe trovato a casa.

“Scendi” dissi al citofono, dopo aver suonato e, neanche due minuti dopo, me lo ritrovai davanti.
“Ma che sei diventato puntuale?”, gli chiesi con sarcasmo.

“Sta zitto! Guarda che stavolta so’ cazzi tua e non mi dire che non t’avevo avvertito. Tiè becca ‘sta stronza!” e mi fece vedere il suo telefono.
“Cazzo di una puttana maiala imputridita, ma che cazzo sta a fa’ sta stronza?” urlai.

Mi fece cenno di abbassare la voce ed entrammo in macchina.
“Ho ricevuto ‘sta foto da un numero che non conosco. Ho riprovato a chiamare più volte ma non ha risposto mai nessuno, ora è spento”, mi giurò. “Andiamo a lavoro da lei e la pizzichiamo”, suggerì.
Feci cenno con la testa e procedemmo con la mia macchina verso il suo lavoro, che era vicino a dove eravamo in quel momento.

Durante la strada non riuscii davvero a capacitarmi di come poteva essere successo, se era vero.

Elisa che, mezza nuda, sta seduta su una scrivania con un tizio davanti, con la camicia sbottonata, che la bacia. Mi sembrava uno scherzo, più che un tradimento. Non è possibile, mi ripetevo mentalmente. Non è possibile che Elisa non voglia più me. Mi ha chiesto di sposarmi. Abbiamo una data prefissata. Scopiamo bene. Ho capito di amarla… Ero tra lo sconvolto e l’incredulo.

Arrivammo a destinazione in pochi minuti e parcheggiai la macchina dietro l’angolo, per non farla riconoscere. Entrò prima Mirko, per passare maggiormente inosservato, poi lo raggiunsi. Al piano di Elisa non c’era nessuno, alla porta non aprivano e le luci, da fuori sembravano spente.
Tornammo al pian terreno e chiedemmo al portiere se fosse andata via e lui ci disse che si era allontanata poco fa, con il suo capo e che forse sarebbero tornati, perché parlavano di un “dopo”.

“E così vogliono fare anche il bis?” urlai concitato, con Mirko che tentava di farmi calmare.
“Mi scusi buon uomo”, si rivolse l’amico al portiere dello stabile, “Elisa e il suo capo erano soli o c’era qualcuno con loro?. Il signore, un po’ sospettoso sull’ulteriore domanda si ritrasse dicendo che non sapeva nulla ma, quando mi avvicinai e lo guardai dritto negli occhi, implorandolo di dirci qualcosa in più, spiegandogli che si trattava della mia futura moglie, si prese un po’ di pena, per questo ragazzotto sfranto e distrutto: “In effetti c’era qualcuno su da loro. Si tratta di una loro collaboratrice esterna che viene qui un paio di volte a settimana e è andata via un po’ prima che loro uscissero. Lei ha l’accesso per entrare perché solitamente viene nel tardo pomeriggio o il sabato, quando qui non c’è nessuno. Infatti l’orario è di solito proprio lo stesso di oggi, solo che diversamente dalle altre volte, è andata via frettolosamente dopo pochi minuti. Altro non saprei dirvi”, concluse.
“Ma sa almeno il nome di questa ragazza, loro collaboratrice?” gli chiesi nuovamente.
“Betta, quindi immagino sia Elisabetta. Non so molto di più”.

Mirko mi guardò spalancando gli occhi e chiedendo al portiere se questa ragazza fosse mora. Annuì, così mi prese da parte e mi disse sottovoce: “Ti ricordi quella moretta che portai a cena da voi un mesetto fa? Si chiamava Elisabetta e si faceva chiamare Betta, te la ricordi?”. Annuii.

“Io non ho più il suo numero perché ho cambiato il telefono, infatti non l’ho manco più chiamata, non che mi interessasse…”, continuò.

“Senti, visto che devono tornare, aspettiamoli – gli dissi – così le urlo in faccia tutto il mio disprezzo e la sbatto fuori casa, a quella puttana!”.
Considerammo la cosa fattibile così andammo al piano dell’ufficio e aspettammo seduti sulle scale.

Dopo quasi un’ora, saranno state ormai le 9 di sera passate, sentimmo la sua voce per le scale e un groppo in gola salì dallo stomaco, che mi sembrava di stare per morire soffocato, con un’ansia che mi premeva lo sterno. Come la vidi sul pianerottolo si impietrì, guardandomi e io, senza riuscire a proferire parola, le tirai l’anello di fidanzamento ai piedi, che teneva incisa la data e scoppiai in un pianto isterico.
Lo stesso fece lei che scappò via mollando tutti lì sulle scale: io, Mirko e il belloccio patinato, tutti sorpresi, tutti impalati come tralicci dell’Enel, con l’unica differenza che io sgorgavo acqua inarrestabile dagli occhi.

Mirko mi riportò a casa che ero uno straccio e mi accompagnò fin dentro casa. Mi disse di andare a dormire e che il mattino dopo si sarebbe presentato per aiutarmi a fare le scatole con le cose di Elisa.
Io piangevo e non riuscivo a capacitarmene, non riuscivo neanche a stare in piedi e sentivo la testa scoppiare. Mi sdraiai vestito nel letto che fino a poco prima era il nostro letto e crollai distrutto. Riuscii solo a sentire l’odore di noi, delle nostre pelli, di sudore che emanavano le lenzuola, poco prima di chiudere gli occhi e a sentire un’ultima frase che disse il mio amico prima di richiudersi la porta dietro: “Questa altro che mutanne, ja levato pure l’anima”.

SUDORE – giu 2019ultima modifica: 2022-04-25T15:04:20+02:00da pabproject
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