Intervista a Alessandro Bettinzana

1 – “Racconti neri”. Di cosa si tratta, quando lo hai pubblicato e dove possiamo trovarlo?

Racconti Neri è un’antologia “ombrellone” nella quale desidero pubblicare diversi racconti, raccolti in volumi numerati. I volumi sono (saranno) tematizzati, ma ogni racconto, ogni volume, condivide quel sentimento di fondo, quella prospettiva generale, che caratterizza appunto i Racconti Neri.
Sono storie di genere fantastico, spesso fantascientifico, che condividono un forte pessimismo, alle volte un nichilismo esplicito e non troppo velato. Inutile dirlo, i racconti di Racconti Neri non finiscono mai bene. Alle volte finiscono male, alle volte ci si può pure ridere su e fare sarcasmo (c’è spazio anche per racconti umoristici infatti), altre volte, invece, finiscono particolarmente male. Nel dramma, nella malinconia, nella tragedia, trova modo di dispiegarsi il dolore, quindi il possibile rispecchiamento. Ci fa sentire fratelli, ci fa provare la catarsi e quel senso profondo di solitudine, per un po’, ci lascia in pace.

Il primo volume, al momento l’unico pubblicato (Calibano Editore, marzo 2022), lo definisco come un’antologia di racconti di fantascienza esistenzialista. Gli immaginari tipici della fantascienza (alieno, spazio, tecnologia, l’uomo del domani) si fondono con i temi cari alla narrativa esistenzialista, come l’essere e il nulla, ma soprattutto con il modo prettamente umano e mondano (non necessariamente trascendente) di rapportarsi con essi. Quindi: la ricerca di sé, del proprio senso, della propria autodeterminazione, della conoscenza, e le difficoltà e i drammi che possiamo incontrare nel cercare di porci queste domande e soprattutto di rispondervi (o, appunto, di non poterlo fare).

Il libro si può reperire in libreria, previo ordine personale, e sui principali siti d’acquisto. Inutile dirlo, l’amazzone, volenti o nolenti, è il modo più comodo per procurarselo.

2 – Hai scritto/pubblicato altro in passato?

Ho scritto altri racconti prima di quelli pubblicati nel vol.1 dei Racconti Neri, ma nessuno ad ora ha visto la luce su carta. Molti di questi verranno riproposti (e rivisti pesantemente) nei futuri volumi.
Come dice David Lynch, ogni idea è preziosa e va curata, tenuta stretta, come un tesoro incommensurabile. Se sorge in primo luogo, vuol dire che ha una sua importanza, una sua attualità. Le idee trovano sempre il modo e il tempo giusti per ripresentarsi, magari in forme assai nuove, e non ascoltarle significa fare un torto a loro, ma prima di tutto a noi stessi.

3 – Da dove nasce l’idea di scrivere un libro?

La risposta che posso dare è forse banale, molto semplice, ma non per questo non vera: scrivere è uno sfogo creativo, al pari di qualsiasi forma d’arte (musica, disegno, scrittura, ecc). Per me è un processo conoscitivo, o perfino terapeutico, ed è vitale. La direzione dei racconti si definisce mentre scrivo, e il senso di una storia o dei suoi temi, spesso, è a posteriori. Le immagini e le unioni di significato mi fanno ricordare o scoprire qualcosa di me, di bello o di brutto, qualcosa che magari ho sotto il naso da anni, da tutta una vita, e che per qualche motivo non ho mai neppure notato.
Oltre a questo, c’è un profondo desiderio di comunicare qualcosa. Nel dolore e nella difficoltà cerchiamo delle mani che ci tirino su, delle carezze, delle pacche sulle spalle. Forse è per me un modo come un altro per dire come sto, per farmi sentire, dire ciò che penso. Il fatto che qualcuno possa decidere di dare una possibilità al mio libro e mi conceda la sua fiducia mi riempie di gioia. E la cosa più bella, per me, è sentire che un mio scritto sia stato in grado di emozionare un lettore, che sia stato in grado di lasciargli qualcosa, un ricordo, una riflessione, che sia stato in grado di fare risuonare delle corde per lui importanti. Io ho la mia personale idea, ovviamente, sul libro e sulla sua resa complessiva; ho il mio racconto preferito e quello che considero la pecora nera, ecc. Per ogni lettore l’esperienza però è diversa. Ogni impressione è differente, unica, le preferenze anche inaspettate, ognuno ci trova quello che è pronto per trovarci, quello che vuole trovarci. Mi basta anche solo un “grazie”, un apprezzamento, per sentire che il travaglio della scrittura e soprattutto della pubblicazione non sono stati vani.

4 – Chi è Alessandro?

È ormai da quasi trent’anni che cerco di capirlo, ma ancora non lo so dire. Forse non lo saprò mai.
Mi dicono che il mio animale guida sia una tartaruga, e vedendo la lentezza che mi contraddistingue nelle decisioni, nell’arrivare a delle prese di coscienza, non posso dare loro torto. Sono pure una tartaruga indecisa, direi inquieta. Cambio spesso strada, perché nessuna mi soddisfa. È il bello del dubbio, perché non si sta mai fermi. Però pure è il brutto, perché si invidia chi è in grado di mettere radici da qualche parte o in qualcosa, di crescere e magari eccellere in quello. Ogni tanto vorrei solo chiudermi nel mio guscio, ecco, tipo ora, solo che… ehi, chi è che me l’ha portato via? Maledetta età adulta, pure quello ti sei presa!

5 – Cosa fai nella vita?

Sono laureato in Scienze Psicologiche (Bergamo) e in Neuroscienze e Riabilitazione Neuropsicologica (Padova). Il buon senso mi direbbe di coltivare il percorso per cui ho studiato, per cui ho speso tempo, fatiche e denaro, ma naturalmente, io, il buon senso non riesco ad ascoltarlo. Quello, e le grosse delusioni riscontrate nei miei studi (sono partito con aspettative irrealistiche, sia chiaro). Al momento lavoro come giardiniere, ho sentito il bisogno di sporcarmi le mani, di partire dal basso, smettere di avere la testa tra i libri e le nuvole. Forse proverò a dedicarmi alla Psicologia Ambientale, in futuro, per il mio interesse verso l’ambiente e la preservazione della biodiversità. Al momento sto sperimentando altre vie artistiche, alternative o di complemento alla scrittura. Vorrei imparare a dipingere per davvero, dedicarmi alle graphic novel, alle illustrazioni, trasmettere col colore e lo stile quello che cerco di fare con le parole, trovare una mia strada come concept artist, character designer, far sposare le idee di un ipotetico world building con una resa che renda loro giustizia, e magari perfino le amplifichi. E chissà, prima o poi rispolvererò anche gli strumenti musicali, pure quella è una parentesi lasciata aperta.

6 – Parlami della tua passione più grande. Non importa sapere di cosa si tratti (magari non lo vuoi dire e non è la scrittura), mi interessa sapere cosa ne ricavi. Cosa provi quando la pratichi e quando non ti è possibile farlo?

Un tempo era la sete di conoscenza. È pomposo da dire, probabilmente antipatico da leggere, ma è così. Provavo un profondo piacere nello studio, ogni nuovo libro, ogni nuova riga, ogni nuovo concetto erano afferrati come cibo prezioso, avevo una fame insaziabile. Poi ho cominciato a rendermi conto della relatività della conoscenza, del mito dell’episteme e del vuoto che mi lasciavano altrove (la vita vera). Oltre a quello, l’università, coi suoi ritmi serrati, mi ha impedito di respirare, ho dovuto sopprimere quasi per intero l’espressione artistica, se così possiamo definirla, e sacrificare tante altre cose. Ora l’arte è la mia primaria linfa vitale. Cerco di assecondarla e di coltivarla, e se non riesco a farlo comincio a sentirmi davvero male (come se non mangiassi o bevessi). Ne ricavo piacere, un profondo piacere, ma è anche il bisogno di rispondere a quella “chiamata”, è qualcosa che mi scalcia da dentro e che devo ascoltare. E poi c’è la sensazione di lasciare un lascito di qualche tipo, forse di vedere i miei sforzi concretizzati, come se fossero un mio prolungamento, un altro mio braccio (in realtà un suo prodotto), che poi in realtà potrebbe non essere altro che uno specchio. Poi certo, questo non è sempre rose e fiori perché sono molto autocritico, tanto da incenerirmi con le mie mani, ma la sensazione di soddisfazione, finché dura, è impagabile.

7 – Pubblicherai un volume 2?

Sì, la speranza è quella. Il secondo volume è scritto e pronto essere sottoposto agli editori. È una cosa che vorrei fare proprio in queste prossime settimane. Nel frattempo sto scrivendo i racconti per i volumi 3 e 4. Ho intenzione di pubblicare un volume all’anno (editori permettendo), quindi voglio procedere con calma con la scrittura, assecondando le idee si presentano e scalciano di volta in volta.
Giusto per fare una piccola (e non richiesta) specifica: il secondo volume si intitolerà Volti, sarà più spiccatamente horror, weird e grottesco. Ci sono finiti dentro paure, incubi e inquietudini che mi accompagnano da sempre. È un volume sulle emozioni profonde, e il volto è il veicolo principale con cui le esprimiamo. Il volto, banalmente, è però anche una maschera, quindi svela qualcosa e nasconde altro, e questo altro può essere tanto spaventoso, quanto pericoloso e inaspettato. Inutile dire che anche noi facciamo altrettanto. È l’incontro con l’Altro, e con noi stessi, con quello che celiamo e mostriamo.

Il volume 3 si centrerà sui temi della coscienza e della percezione della realtà, tornerà la fantascienza, declinata soprattutto in chiave neuroscientifica.

Il volume 4 parlerà dell’esperienza del silenzio di Dio, vissuta come abbandono. Sono un uomo moderno senza Padre, non chiedo altro di sentire la sua voce. Per il momento posso solo scrivere della sua assenza.

8 – Libero arbitrio o destino?

Quando mi sento bene, pensare a un destino mi energizza. Quando sto male, però, mi ricordo che io sono il frutto delle mie scelte. Scelte mediamente sbagliate, sono un asso in questo. Vorrei credere in un destino, riscoprirei la fede, o magari vedrei la sua faccia per la prima volta.
Il grande saggio paraculo, però, dice: “Il destino è l’illusione del libero arbitrio, incasellato in una miriade di alternative, tutte vere e tutte esistenti.”
Siamo goccioline in un mare di universi…

9 – Hai pubblicato con Calibano. Vuoi raccontarci la tua esperienza?

Calibano è una casa editrice medio piccola che fa parte di un gruppo editoriale più grande. Mi sono trovato bene per alcune cose, meno bene per altre, ma in fondo mi aspettavo questo. Il responsabile editoriale che mi ha seguito è stato molto gentile e professionale, supportivo e disponibile. Ho apprezzato anche che la fase di editing non sia stata una censura o una correzione ortopedica (pure si poteva fare qualcosa di più) e che da contratto non sia stato obbligato a comprare alcuna copia.
Naturalmente ne ho acquistate diverse decine per venderle per conto mio, per rientrare nei costi (tutto sommato onesti) di pubblicazione. Non mi sarebbe dispiaciuto però qualche evento di promozione organizzato dalla casa editrice, anche solo uno, magari in provincia di Milano. Come ho imparato poi, la fase più difficile nella gestazione di un libro non è il suo concepimento, non è neppure la scrittura e, sorpresa delle sorprese, non è neppure la ricerca di una casa editrice, bensì la fase di promozione post-pubblicazione. Lì, senza esperienza, ho dovuto rimboccarmi le maniche, ogni vendita l’ho sentita sulle mie spalle, ogni evento e spazio guadagnato sudore della mia fronte (e, cosa che mi ha demoralizzato parecchio, pure del mio portafogli). È un lavoro a tutti gli effetti, e in mezzo a tanti altri impegni è difficile trovare lo spazio per promuoversi con efficacia (soprattutto perché questo va a detrimento della scrittura), bisogna farsi le ossa, capire come muoversi, come presentarsi. E si trovano tante porte chiuse, e tanta indifferenza. Com’è giusto che sia, forse, perché il mondo della scrittura, come tanti altri, è un mare vorticoso e pieno di concorrenza, anche di altissimo livello.
Detto questo, per il volume 2 sto pensando di rivolgermi ad una casa editrice non a pagamento. Detto francamente, non ho soldi per pagarmi un’altra pubblicazione. E vorrei avere la sensazione che il mio scritto valga qualcosa, che qualcuno ci creda davvero e che voglia, nei limiti del possibile, supportarmi e darmi fiducia. Con un rapporto a pagamento, purtroppo, il dubbio che questo non ci sia, che si tratti insomma di prestazione mercenaria o su commissione, c’è e scoraggia un po’.

10 – Quante copie hai venduto del tuo libro?

Difficile dirlo. E ho paura a chiedere il conteggio al mio editore. Io personalmente ho venduto un centinaio di copie. Sul web ne saranno partite altre venti o trenta. Posso stimare in modo conservativo all’incirca centocinquanta copie vendute. Non è male, soprattutto trattandosi di un libro d’esordio, e soprattutto di un libro di racconti e di genere fantascientifico (ah, e le storie che finiscono male non piacciono a molti, ma questo l’ho sempre saputo…), però potevo fare di più. Confido di rilanciare, di volta in volta, i precedenti volumi con l’uscita dei nuovi. Ci spero. Lasciatemi sperare almeno questo.

11 – Scrivi di notte o di giorno?

Adoro il silenzio della notte, ma spesso la stanchezza mi schiaccia. Adoro pure il mattino col suo primo sole, ma il cervello ci mette un po’ a carburare. Morale? Sono prolifico e lanciato dopo il caffè del pranzo. Ah, quand’ero giovane la notte era la mia più fidata compagna…

12 – Cosa farai da grande?

L’astronauta.
Se anche quello va male, allora, l’astrofisico. Mi piace lo spazio, quello che ospita, e pure il mistero che cela. L’immaginazione e la meraviglia, lì, non si sono ancora esaurite. Cosa non darei per avere degli occhi sensibili alle radiazioni microonde, un cervello in grado di colorarmele, così da vedere lo spazio come un immenso mandala, ricco di sfumature e forme, le orme stanche e lontane del big bang.
Il piano c, invece, è lo psicologo jedi, ma devo ancora trovare dove fare il tirocinio…

13 – Cosa ti fa paura?

La vita. Al secondo posto, la morte. In mezzo, ci sta la solitudine che le lega.

14 – Il draghetto dove lo hai preso?

È una storia lunga, e risale ormai a otto anni fa. Ero fuori nel campo di mio padre (un lascito del nonno), un pomeriggio come tanti, del tardo inverno, quello che ha già il profumo della primavera, coi crocchi che sbucano in ogni dove. Un giorno come quelli che ci sono ora, insomma. E, ecco, ero lì che gironzolavo nel primo verde, davo da bere al mio ciliegio in tutta tranquillità, quando qualcosa mi è caduto sul capo. Era qualcosa di viscoso e, mi imbarazza dirlo, pure puzzolente. Molto puzzolente. Qualcosa me l’aveva fatta in testa. Dopo qualche sonora imprecazione, che non starò qua a ripetere, ho alzato lo sguardo per cercare il colpevole. Ho pensato ad uno stormo di piccioni. “Maledetti!”, non ho detto proprio così, ma facciamo finta di sì. Potete immaginare la mia sorpresa quando invece che qualche piccione ho visto un drago! Poverino, stava male, un po’ di dissenteria… è sceso nel campo, debilitato dai crampi, e in cerca di qualcosa da mangiare. Un cosino nero, grosso poco più di un aquilotto. Mi ha fatto una gran pena, forse si era perso, o era stato lasciato indietro dal gruppo, e il suo piagnucolio pareva lo squittio di un topino, mica il verso di un grande rettile volante, tanto meno di uno appartenente all’ordine dei Draconidi (famiglia dei Diabolos Niger, come ho scoperto in seguito). Dopo un po’ di diffidenza, sia mia che sua, sono riuscito ad avvicinarmi. L’ho accarezzato un po’, lui pareva troppo stanco per mordere o darmi una frustata con la coda squamata. Quando ho capito che aveva fame, sono andato a prendergli qualcosa dalla dispensa. Non capita di avere tutti i giorni un draghetto che ti vola vicino a casa, inutile dirlo, infatti, non avevo nulla di adatto da dargli. Ho provato con del prosciutto e del tonno, e dopo averli annusati, lui li ha schifati con un versaccio. “Un drago schizzinoso, bene”, ho pensato. Ho visto che guardava con interesse le piante da frutto del campo, ma quelle, naturalmente, erano tutte vuote. Sono rientrato in casa per prendere una mela, così, tanto per provare. Lui appena l’ha vista ha cominciato a scodinzolare come un cagnolino e se l’è pappata in tre morsi. Gliene ho portate una mezza dozzina, e lui se l’è mangiate tutte. Ha mangiato più mele lui in dieci minuti di quelle che mangio io in un mese. Comunque, ha cominciato a fidarsi di me, l’ho fatto salire sul mio braccio e accarezzato ancora un po’. Dovevate vedere come si strusciava! L’ho portato in casa per farlo stare al calduccio e farlo riposare, in attesa che riprendesse il volo e si riunisse alla sua famiglia. Però quello, che mica è scemo, ha capito che qui avrebbe avuto vitto e alloggio a volontà, e ha deciso di restare. Di solito non do nomi agli animali, lo sento come una forzatura, come se dicessi che sono qualcosa di mio possesso (e invece lui, per quanto mi riguarda, è libero di prendere e andarsene quando vuole), ma stavolta ho fatto un’eccezione, ho deciso di chiamarlo Calimero, perché è piccolo e nero, e poverino, è sempre rimasto tale. O forse è stata per lui una fortuna, perché se fosse cresciuto di cinque o sei metri non credo che sarei riuscito a tenerlo in casa. Comunque, ci siamo affezionati molto a lui, e lui a noi. Quando gironzolo per casa mi si appollaia sulla spalla, quando rientro dopo il lavoro o qualche impegno mi accoglie con quei versetti striduli e quando scrivo, al computer, mi si accoccola sulle gambe. È come un gatto, un gattino nero, solo che vola, ed è di nobile lignaggio! Ed è come se facesse delle fusa, ve lo giuro, dev’essere qualche organo apposito, ma non so come si chiami. E poi, un drago vegetariano? E così mite e placido (e nano, ma non glielo dico, se no s’offende)? Mai sentita questa.
È qua anche ora, mentre rispondo a questa intervista.
Calimero! Saluta i lettori! Saluta Fabio!
Peccato non potervi allegare una foto. Comunque vi ha salutato, ve l’assicuro.

15 – Ti senti più un autore o una paziente in terapia, a causa di queste domande?

Mi sento un autore in terapia, o meglio, un paziente scrittore. Poco paziente, in realtà, ma nel senso che sono frettoloso. Ma queste domande mi piacciono molto!

16 – I disegni li fai tu? Se sì, che tecnica usi?

Il disegno in copertina l’ha fatto la mia ragazza, Lucia. Ci siamo conosciuti proprio mentre mi stavo accordando con la casa editrice per la pubblicazione, e le sue doti di disegno sono cascate a fagiolo. Ha capito e rappresentato pienamente l’essenza degli scritti con quel disegno. Ha anche creato due illustrazioni potenziali per il secondo volume. Mi piacerebbe molto utilizzarne una delle due come copertina, ma questo dipenderà anche e soprattutto dalla disponibilità della casa editrice.
Lei usa colori ad olio e matite, per rispondere alla seconda parte della domanda. Dal canto mio adoro anche il carboncino, il contrasto tra il bianco e il nero, lo spessore dell’ombreggiatura, la fase di annerimento, ma questa è un’altra storia (da rimandare a quando mi considererò in grado di disegnare davvero).

17 – Secondo te, fan art o disegni a tema sul romanzo/racconto aiutano la promozione?

Rispondendo in modo assolutamente pragmatico, credo che tutto faccia brodo. Credo che l’arte visiva abbia un’immediatezza (come la musica) che la scrittura non ha, e come tale può incuriosire (o repellere) istantaneamente una persona. È la bellezza dei colori e delle forme, e tutta la loro forza. Il libro non si giudica dalla copertina, si dice. Eppure, non ci giriamo attorno, la copertina è il primo modo con cui un libro ci attira. In maniera più personale, come progetti futuri, vorrei accompagnare i racconti con delle illustrazioni personali. Al momento, meglio non pensarci, perché il livello è, come dire, molto basso. Sul discorso fan art, invece, sarei lusingatissimo se qualcuno decidesse di utilizzare i miei racconti come soggetti per i propri disegni.

18 – Hai altri canali dove pubblicizzi il tuo libro? Se sì, ti va di elencarne qualcuno e darci dei consigli?

Utilizzo primariamente i miei profili Facebook e Instagram. Mi trovate come Alessandro Bettinzana su FB e come karellen_asterios (non ridete…) su IG.

In collaborazione con https://www.instagram.com/briciolacreation/

Intervista a Alessandro Bettinzanaultima modifica: 2023-05-24T19:09:57+02:00da pabproject
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