Intervista a Alessandro Curti

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1 – “Eutòpia” è il tuo ultimo titolo, uscito lo scorso anno (2022). Ce ne parli?

Eutòpia è stato una specie di sfida per me perché, dopo aver scritto quattro romanzi su tematiche che vivo ogni giorno, ho voluto provare a raccontare una storia diversa, che mi appassiona. Il genere distopico mi è sempre piaciuto sia come lettore che come telespettatore e un giorno mi sono detto: “Perché non provi? Vedi cosa ne esce”. Era un’idea che avevo nella testa da almeno un anno ma l’ho partorita in un momento storico in cui, paradossalmente, avevo molto tempo per scrivere ma il cervello bloccato. Erano i primi mesi del 2020, quando la pandemia mi ha fermato a casa. Ripeto: il tempo per scrivere era molto ma la situazione mi impediva di essere creativo, come se la testa fosse imprigionata in una specie di bolla.

Poi è accaduto un miracolo. All’inizio del 2021, in occasione del mio compleanno, ho ricevuto come regalo un quadernetto arancione con una copertina rigida. All’interno c’era una fotografia del Lago Maggiore, scaricata da internet, con sopra dei tratti di pennarello che descrivevano l’ambiente che avevo in mente per la mia storia. Insieme a questa stampa una dedica la cui parte finale recitava così: “…Con questo diario voglio “sbloccarti”, quindi gira la pagina e sorprendi me, sorprendi tutti, ma non con le parole: con i gesti!”.

Iniziava così il “Diario dello scrittore” che mia figlia aveva cominciato a scrivere per me: gli appunti diligentemente copiati da un taccuino su come si scrive un romanzo, tanti possibili nomi di personaggi e, tra le righe, una sorta di ordine: “Papà scrivi. L’idea che mi hai raccontato è buona”.

Potevo non ubbidire a quel diktat?

Quel diario è proseguito con idee, appunti, schizzi, intrecci che si sono trasformati in un romanzo.
Eutòpia è proprio questo: una storia distopica che ricalca fin troppo, sebbene scritto in tempi non sospetti, le situazioni odierne. I problemi climatici, le possibili conseguenze di una eventuale Terza Guerra Mondiale, la questione migratoria di intere popolazioni alla ricerca di un posto migliore in cui vivere, i pericoli delle nuove tecnologie, le lotte per l’uso delle sempre più esigue risorse idriche. Il tutto condito da quello che più mi appassiona nella vita: le vicende umane, le relazioni, i conflitti.

2 – Hai pubblicato anche altri libri, ci racconti qualcosa? Titolo, di cosa parlano, dove trovarli ecc.

“Padri imperfetti” è il mio romanzo d’esordio, autopubblicato nel 2013. È la storia di Andrea, un educatore appena diventato padre, che si trova casualmente (o forse no?) a lavorare con altri padri: Filippo, un uomo che può incontrare il figlio di appena quattro anni solo sotto lo stretto monitoraggio di un educatore in un contesto protetto; Stefano, un padre che sta crescendo da solo il proprio figlio adolescente perché la madre li ha abbandonati molti anni prima; Antonio, il fantasma di una persona che ha abbandonato la compagna nel momento in cui ha saputo che era incinta e ha lasciato il figlio in balia di una madre affetta da una patologia psichiatrica. Sono storie di sofferenza che mettono Andrea in un continuo processo di riflessione sul tipo di padre che sarà.

Dopo un anno e mezzo di fatica nella promozione di questo romanzo mi sono accorto che fare tutto da solo era praticamente impossibile e mi sono messo alla ricerca di un editore. Ho mandato decine di mail chiedendo semplicemente se la casa editrice interpellata fosse interessata a pubblicare un romanzo già edito. Nel 2014 mi sono imbattuto in C1V (acronimo di C’era una volta), una casa editrice di Roma che si è detta curiosa di approfondire il mio progetto. Sono stati mesi di continui scambi di mail con l’editrice Cinzia Tocci prima che si decidesse a pubblicare il mio romanzo. Ho scoperto solo due anni dopo che Cinzia aveva già letto e si era innamorata del mio libro quando lo avevo autopubblicato e, leggendo la mia mail, si era sfregata le mani all’idea di diffonderlo nel 2015 con il logo della sua casa editrice.

Nel 2016, sempre con C1V Edizioni, pubblico il mio secondo romanzo: “Mai più sole”. Questa volta l’educatore Andrea si trova a lavorare in un servizio per la prima infanzia a diretto contatto con donne appena diventate madri. Appare fin da subito evidente quanto un operatore di sesso maschile sia vissuto come una intromissione in un mondo che appartiene ancora, culturalmente, all’universo femminile. È un lavoro difficile, soprattutto perché l’educatore incontra storie di donne con profonde ferite nella loro storia di maternità: Sylvia, che perde il compagno giornalista in una guerra inutile prima che possa vedere nascere sua figlia; Erika che si scontra con un figlio “diverso” da quello che si sarebbe aspettata e che deve fare i conti con l’autismo; Klodiana che fugge da una storia di violenza e prostituzione e vive la nascita di suo figlio maschio in una dicotomia tra l’amore materno e la convinzione che gli uomini siano intrinsecamente cattivi.

La pubblicazione, nel 2017, di “Sette note per dirlo” ha una storia particolare alle sue spalle. Il rapporto con Cinzia, il mio editore, è sempre stato caratterizzato da infinite chat di WhatsApp. Una domenica mattina, mentre stavo scrivendo “Mai più sole” nel silenzio di casa con le mie donne ancora a letto, ricevo un messaggio: “Ho un progetto nel cassetto che non riesco a portare avanti, ti va di darmi una mano?”. Inizia così la scrittura di una storia a quattro mani, le mie e quelle di Cinzia, che racconta le vicissitudini di due adolescenti del nuovo millennio – lui di Milano (come me) e lei di Roma (come Cinzia) – tra sogni, aspirazioni, fatiche, illusioni e disillusioni. Il tutto condito da un passato ambientato negli anni ’80 che racconta l’adolescenza dei loro genitori. Ne viene fuori un progetto interessante che Cinzia vuole anche trasformare in un fotoromanzo 2.0: fotografie che raccontano la storia pubblicati sui social.

Nel 2018 pubblico l’ideale chiusura della trilogia di Andrea: “Siamo solo piatti spaiati”. Andrea questa volta lavora in una comunità per minori con disagio sociale e tra i suoi ragazzi arriva Davide, un adolescente apparentemente lontano da quel mondo che inciampa in una situazione penalmente perseguibile. È quindi la storia di una crescita, quella di Davide, che avviene grazie all’incontro/scontro con Andrea, un adulto che non riesce a inquadrare e del quale non si fida ma che scoprirà essere una persona a cui ci si può affidare anche nei momenti più difficili. È un viaggio fisico ma anche metaforico di cambiamento, di evoluzione, di trasformazione da ragazzo ad adulto, condito dall’incontro con altri ragazzi molto diversi ma ugualmente interessanti per le loro caratteristiche e le loro ferite.

Tutti i romanzi sono disponibili nello store della casa editrice

https://www.c1v.org/shop?Categoria=Narrativa

3 – Hai pubblicato tutti i tuoi libri con la casa editrice “C’era una volta”, vuoi raccontarci l’esperienza?

Come raccontavo poco fa l’incontro con Cinzia Tocci, l’editore di C1V, è stato casuale quanto provvidenziale. È stato un social a farci incontrare, anche se io ancora non lo sapevo, perché Cinzia aveva intercettato i miei post di autopromozione di “Padri Imperfetti” e ne aveva colto le potenzialità. da lì è nata una collaborazione che ancora oggi mi sembra più una “affinità di anime” che altro. Cinzia ha capito subito, leggendo il mio primo romanzo, che il mio stile di scrittura “emotiva” racconta di me, quasi più che delle mie storie, e mi ha sempre spronato a seguire questa strada. Certo lei non manca di riportarmi con i piedi per terra ricordandomi costantemente che la concretezza (che paradossalmente pratico ogni giorno della mia vita) è un valore che non va dimenticato anche nel processo di scrittura.

Quel che apprezzo di C1V è che non si ferma alla sola pubblicazione dei romanzi ma ci costruisce intorno un progetto di promozione legato non solo ai numeri ma all’utilità sociale di un romanzo: affiancare ad un libro dei progetti scolastici per incentivare la lettura e la riflessione, l’aspetto ecologico del donare nuovi alberi per rimpolpare il polmone del nostro pianeta, la donazione di nuovi macchinari agli ospedali sono un valore aggiunto. L’attenzione che una donna, Cinzia, ha della società nella sua globalità dove la pubblicazione di un libro è sempre connessa a qualcosa di più. Lei sì che è una visionaria con i piedi per terra, più di me.

4 – Sei anche un buon lettore? Qual è il genere che prediligi? Hai un autore preferito?

Nella mia vita ho letto centinaia di libri di ogni genere, l’importante è che mi provocassero delle emozioni, delle riflessioni, che stimolassero nuove visioni del mondo. Senza dubbio il mio autore preferito è Stephen King. Ricordo ancora quando, adolescente in una Milano molto differente da quella di oggi, andavo in biblioteca a prendere in prestito i suoi libri e li divoravo in ogni minuto della mia giornata, anche sull’autobus la mattina quando andavo a scuola. Fantasy, storico, distopico, horror, letteratura per ragazzi, gialli… leggo qualsiasi cosa.
Finché un libro ti tiene incollato alle sue pagine è sicuramente un buon libro.

5 – Hai altri progetti per il futuro o stai già lavorando a qualche altro scritto?

Ho due progetti in testa, anche se la vita corre sempre più veloce di me. Senza voler svelare troppo – anche perché non ho ancora capito che tempi avrò per scrivere – ho in mente due storie: un nuovo distopico ambientato a Venezia e una storia di crescita basata su una storia vera caratterizzata dalla sofferenza e dalla voglia di riscatto. Come dire che le mie due anime, quella di educatore e quella del futuribile, non possono che convivere.
I miei romanzi nascono sempre da “scontri” fortuiti: persone e suggestioni che incontro e che, probabilmente senza saperlo, innescano nella mia testa possibili evoluzioni. Mi piace proprio questo: partire da storie reali e provare ad immaginare come potrebbero evolvere.

6 – Com’è nata l’idea di scrivere un libro?

Scrivere è sempre stata una mia passione fin da quando, in terza elementare, sono stato accusato di aver rubato l’idea di una compagna per una composizione. Prima di svolgere la mia attuale professione, infatti, studiavo e lavoravo per diventare giornalista. Già da adolescente mi piaceva raccontare storie. Poi la vita mi ha portato su una strada diversa ma sono riuscito, ad oggi, a conciliare le mie due anime.

7 – Di “Siamo solo piatti spaiati” ne è stato fatto anche un cortometraggio, che per un periodo di tempo è stato disponibile anche su Prime video. Ci racconti l’esperienza?

Anche qui c’è lo zampino di Cinzia.
Dopo la pubblicazione di “Siamo solo piatti spaiati” era talmente entusiasta della storia che ero riuscito a raccontare che – come sempre di domenica mattina presto – ho ricevuto un suo WhatsApp: “Ti ho iscritto ad un corso di sceneggiatura, prepara la valigia che vieni a Roma”. Voleva trovare un nuovo canale di comunicazione con i ragazzi di oggi che, si sa, sono più attratti dalle immagini che dalle parole scritte. L’idea era proprio quella di produrre un cortometraggio che raggiungesse gli adolescenti e gli facesse venire voglia di leggere un libro.
Ho studiato, ho scritto la sceneggiatura, sono riuscito a coinvolgere un idolo degli adolescenti (Simone Baldasseroni, in arte Biondo, appena uscito dalla scuola di Amici di Maria de Filippi) e abbiamo prodotto il cortometraggio che è stato su Amazon Prime per un lungo periodo e che è diventato per noi materiale per progetti nelle scuole. Il cortometraggio, che ha ricevuto diversi riconoscimenti anche nei circuiti dei festival, ha raggiunto l’obiettivo per cui lo abbiamo prodotto: avvicinare i ragazzi alla lettura e innescare un processo di crescita attraverso la lettura. Incontrare gli adolescenti nelle scuole, guardare insieme il cortometraggio e coinvolgerli nella lettura e nella produzione di nuovi contenuti è stato molto stimolante.

Sono orgoglioso di questo progetto e sono felice della squadra che ci ha aiutato a realizzarlo, soprattutto perché tutti i giovani attori erano alla loro prima esperienza davanti ad una macchina da presa. Quattro giorni di lavoro intenso che hanno creato legami che, ancora oggi, hanno il loro perché.

8 – Giffoni,  Lucerne Film Award, Ostia International Film Festival… Raccontaci le emozioni.

Beh, che dire… ogni festival a cui abbiamo partecipato, ogni riconoscimento che abbiamo ricevuto, ogni citazione o invito mi hanno fatto volare a qualche metro da terra. Dai più piccoli ai più rinomati. Certo quando ho ricevuto la notizia, sempre negli immancabili WhatsApp della domenica mattina presto da parte di Cinzia, dei nomi che stai citando mi hanno reso incredulo quanto felice. Se solo un anno prima mi avessero detto che un cortometraggio scritto da me e tratto da un mio romanzo avrebbe partecipato a quei festival mi sarei messo a ridere. Poi, però, quando ti scontri con la realtà e comprendi che quello che scrivi lascia il segno non puoi fare altro che raccogliere nuove energie e partire con un nuovo progetto.

9 – Che lavoro fai?

Sono un educatore e pedagogista da quasi trent’anni. Il mio incontro con il mondo dell’educazione e del disagio sociale è stato più che altro uno scontro. Nel lontano 1993 ho svolto il servizio civile in una comunità per minori, realtà di cui nemmeno conoscevo l’esistenza, ed esattamente in dodici secondi ho deciso che quella sarebbe stata la prima professione. Fortunatamente l’entusiasmo iniziale, fatto di ideali e della voglia di salvare il mondo e ogni singolo suo abitante, sono stati confluiti – grazie all’incontro con modelli reali – in una professionalità che oggi è in equilibrio tra quello che vorrei fare, quello che posso fare e quello che è giusto fare. Ho raggiunto l’equilibrio nella professione proprio quando è nata mia figlia sedici anni fa: ho compreso che l’educazione non è solo “professionalità” (cioè il lavorare di testa) ma anche “emotività” (perché la pancia non può essere dimenticata). Ed è un paradosso perché prima di allora pensavo di essere mosso più dalla pancia che dalla testa. Ma “Padri imperfetti” nasce proprio da questo: dalla volontà di raccontare a mia figlia che lavoro fa il suo papà e dalla necessità di trovare un equilibrio.
La mia scrittura è partita proprio dalla domanda che spesso mi faceva mia figlia da piccola: “Papà perché passi le tue giornate con i figli degli altri e non con me?”. È stata una domanda con il sapore di un pugno nello stomaco che mi ha obbligato a trovare una risposta di senso, per lei e per me.
Oggi posso affermare con orgoglio che non solo mia figlia ha capito che lavoro faccio ma anche che, ogni sera, mi chiede come sia andata la mia giornata e si appassiona ai racconti che le faccio.
Anche se spesso trasudano sofferenza.

10 – Per le illustrazioni di Eutòpia a chi ti sei affidato?

Ecco, uno degli aspetti più difficoltosi nella scrittura di Eutòpia era proprio il fatto che non riuscivo a visualizzare il volto dei personaggi, che per me è un aspetto fondamentale. Ogni volta che scrivo una storia, infatti, ho bisogno di avere in mente una persona più che un personaggio. Nei miei romanzi precedenti mi basavo su persone che avevo incontrato, ma con Eutòpia era impossibile proprio per la specificità del romanzo.
Forte del mio importante incontro con Cinzia ho interpellato la rete e ho chiesto, tra i miei contatti, se qualcuno conoscesse un bravo illustratore. Federica Barbarossa, amica e collaboratrice di Cinzia, mi ha messo in contatto con Salvatore Tedone, un bravissimo disegnatore. Come sempre nella mia esperienza social sono partiti millemila messaggi nei quali cercavo di raccontare a Salvatore come mi immaginavo i personaggi, in particolare Al3c. E lui è stato talmente bravo a districare la fumosa idea che avevo in testa da dare un volto ai personaggi di Eutòpia. In quel momento, per me, sono diventati reali e la scrittura è diventata più fluida.
Io e Salvatore abbiamo ancora in sospeso una cena al sushi per quanto lo devo ringraziare.

11 – Parlami della tua passione più grande. Non importa sapere di cosa si tratti (magari non lo vuoi dire e non è la scrittura), mi interessa sapere cosa ne ricavi. Cosa provi quando la pratichi e quando non ti è possibile farlo?

Wow che domanda complessa. Nessuno, nemmeno io fino ad ora, me l’ha mai posta.
Di primo acchito mi verrebbe da rispondere che la mia più grande passione è vivere perché le persone intorno a me stiano bene ma, a ben pensarci, credo che sia – invece – il mio benessere.
Dalla vita e dalla professione ho imparato che tutto quello che faccio, alla fine, deve servire a me. Può sembrare un discorso egoistico forse, ma in realtà credo nella circolarità delle cose: tutto quello che faccio, se fa bene agli altri, in fondo fa bene a me. Se sono in pace con me stesso posso essere strumento perché altri stiano bene. E non è facile perché in alcune situazioni il mio benessere potrebbe essere deleterio per altri ma, se ci rifletto profondamente, non è così. Credo di averlo compreso proprio negli ultimi giorni ripensando al rapporto che ho con un ragazzo con cui ho lavorato fino a poco tempo fa e che poi mi è rimasto “attaccato”. È una specie di paradosso, ma nel momento in cui ho realizzato che fare o dire cose che mi facevano stare bene potevano nuocergli, sono riuscito a fare e dire cose differenti che lo hanno scosso.
E che hanno scosso me, che mi hanno fatto stare meglio perché mi hanno dato nuova consapevolezza. Per me e per lui.

Ho realizzato che la scrittura, il lavoro, gli obiettivi, le relazioni non sono altro che uno strumento.
La passione, forse, sta proprio lì: nell’avere consapevolezza. Di quello che siamo, di quello che potremmo essere, di quello che non vogliamo essere. La passione siamo noi, ognuno con la propria unicità.

12 – Cosa ti fa paura?

La noia e il futuro.
Mi fa paura l’idea di annoiarmi perché mi sentirei annichilito, passivo, inerme di fronte alla vita. Mi fa paura il futuro di mia figlia: l’idea di non essere all’altezza di educarla e instradarla nei meandri della vita con i giusti strumenti perché sia in grado di affrontarla.
Poi la guardo, oggettivamente, crescere e affrontare le difficoltà dell’esistenza e la paura diminuisce perché ho imparato che accompagnare (con l’esempio) all’imperfezione è il miglior modo per tendere alla perfezione che, sono consapevole, non si potrà mai raggiungere. Ma è il motore più onesto per migliorarsi.
E per quanto riguarda la noia… beh, ho imparato che so come combatterla. Con nuovi progetti, nuove idee, nuovi traguardi. A volte troppi, ma ho mia moglie che costantemente mi riporta con i piedi per terra lasciando che la testa stia tra le nuvole.

13 – Libero arbitrio o destino?

Senza alcun dubbio libero arbitrio! È un insegnamento che ho appreso dalla mia professione. Puoi suggerire tutto quello che vuoi ma devi essere consapevole che l’Altro sceglierà quello che preferisce, anche se tu non lo condividi. È una questione di rispetto dell’Altro: un soggetto di valore che farà suo tutto quello che gli indichi e che lo modellerà a sua immagine e somiglianza. È stato così anche per me: da adolescente ho sempre rivendicato in modo fermo le mie scelte e le mie volontà, giuste o sbagliate che fossero. E continuo a farlo anche da adulto.
Perché non dovrei riconoscere lo stesso valore all’Altro? Dovrei sconfessare quello che sono.

14 – Chi è Alessandro?

A questa domanda forse nemmeno Alessandro sa rispondere.
Sono un uomo in perenne conflitto con sé stesso, alla ricerca di nuovi stimoli e di continue battaglie, una persona che non si vuole fermare mai perché è certa che arrestarsi significhi arrendersi. D’altra parte quale sarebbe il significato della vita se non questo? Perché dovremmo avere un senso in un’esistenza che, rispetto alla storia, dura un istante se non fosse per portare un cambiamento?

Scrivere è anche questo: lasciare un segno – oggi e nel futuro – di un qualcosa che per qualcuno potrebbe non avere senso ma che per qualcun altro potrebbe essere fondamentale. I grandi scrittori della letteratura ce lo insegnano ogni giorno: se hai qualcosa da dire devi salire sul predellino e dirlo, a dispetto di quello che la società può pensare di te. Questa è la possibile e indispensabile evoluzione della razza umana. Per questo ogni singolo (e spesso privato) commento alle emozioni che ho suscitato con i miei scritti mi rende orgoglioso, così come i feedback dei ragazzi con cui lavoro: se anche solo una parola che ho scritto o profferito ha prodotto un cambiamento significa che io ho avuto un senso.

E comunque Alessandro cambia ogni giorno, come è giusto che sia. Quello che Alessandro è oggi, sicuramente non sarà domani.
Anche se, in fondo, spero di diventare ricco e famoso. Almeno una volta deceduto.

15 – Qual è il libro che avresti voluto scrivere tu?

1984 di George Orwell perché ha lasciato in me un segno. Ricordo di averlo letto nell’estate del 1990, a pochi mesi dalla caduta del muro di Berlino, in viaggio verso Auschwitz. Due esperienze, la lettura e la visita al campo di concentramento, che mi hanno segnato profondamente, che a 18 anni hanno seminato i germi dell’uomo che sono diventato. Vorrei lasciare lo stesso segno, anche solo in una persona.
E poi la saga di Harry Potter. Il simbolo di una crescita a dispetto delle ferite dell’anima, scritto in chiave fantastica quanto semplice. Harry è un ragazzo qualsiasi che lotta contro sé stesso e il destino che qualcuno ha scritto per lui. E lo fa in modo umano, senza fronzoli, con l’ingenuità di ogni normale essere umano.
Lui sì che sa cosa sia il libero arbitrio.

16 – Ti senti più un intervistato o un paziente in terapia, a causa di queste domande?

In quanto educatore sono sufficientemente scettico rispetto alla “terapia” non perché non creda che possa essere utile, in alcuni specifici casi, quanto perché sono convinto che la concretezza trasformata in riflessione possa essere più funzionale.
Poi, certo, avrei preferito scrivere le risposte a queste domande stando comodamente sdraiato su un lettino piuttosto che al tavolo della cucina, ma questo è altro.
Scherzi a parte: scrivere, per me, ha sempre avuto un significato terapeutico perché mi permette di “pensare in assenza di azione” che è ciò che mai accade nella mia professione. Avere la possibilità di riflettere, scrivere, cancellare e correggere è quanto di più terapeutico ci possa essere.
Ecco perché ho scritto tutti questi romanzi: per rielaborare storie pensando a come sarebbero potute andare altrimenti.

17 – A un certo punto, sul tuo Instagram noto la copertina “Croce e delizia” dei Litfiba. Cosa stai organizzando?

Litfiba forever! I primi concerti a cui ho assistito da adolescente. Un misto di adrenalina e di riflessione sui testi.
“Croce e delizia”, in quello specifico post, erano i sentimenti che provavo per il nuovo progetto che stavo intraprendendo: insegnare italiano in alcune classi particolari di una scuola professionale. La Croce era decisamente motivata dal fatto che sono un po’ allergico agli schemi, alla burocrazia, alle istituzioni. Di contro la Delizia era la voglia di iniziare questo nuovo percorso con adolescenti che, ne ero certo, mi avrebbero dato tante soddisfazioni.
Ho scoperto che la Croce e la Delizia sono le due facce della stessa medaglia: non è l’istituzione a porre dei vincoli (non così tanti, almeno) quanto i ragazzi che ti trovi di fronte. Devi saperli conquistare, mantenendo il ruolo, senza rinnegare quello che sei.

Ma forse, ci sto pensando ora, sono io ad essere Croce e Delizia per loro. Sperando di non essere El Diablo.

18 – Puoi suggerire agli autori esordienti qualche metodo per avere un po’ di visibilità in più?

A saperlo… L’editoria è un universo tutto particolare dove le discriminanti per emergere sono molteplici. Certamente ci vuole una buona storia scritta bene (e io, ad oggi, mi sto ancora chiedendo se le ho). Ma questo non basta. Ci vuole intraprendenza (cercare sempre nuovi canali, di qualità, che possano essere utili alla promozione del tuo romanzo), tempo (le presentazioni, le interviste, la partecipazione ai concorsi sono impegnativi ma certamente utili), la capacità di raccontare (scrivere un romanzo non è sufficiente, devi saperlo narrare a chi potrebbe promuoverlo per te).
Molti parlano di social media manager, di utilizzo consapevole dei social, di investimenti economici con uffici stampa, di scelta di buoni editori che sappiano come fare il lavoro…
Io ho provato tutto questo e certamente ha un senso.
Ma alla fine due sono le condizioni necessarie: una buona storia e una discreta quantità di culo.

Forse più la seconda che la prima.

In collaborazione con https://www.instagram.com/briciolacreation/

Intervista a Alessandro Curtiultima modifica: 2023-04-12T16:04:46+02:00da pabproject
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